Friday, June 8, 2007

Libri calcio : ancora consigli per gli acquisti

Dopo il libro+dvd di De Bellis ho acquistato due nuovi libri online :

1) Il libro di Gualtieri Un modello di preparazione atletica precampionato per giovanissimi in vista della prossima stagione. La parte teorica è molto ben fatta , anche se ripresenta in forma più concisa quanto già spiegato nel suo altro libro Programmazione annuale dell'allenamento per giovanissimi. Gli esercizi prevedono quasi tutti l'utilizzo della palla e questo approccio ha i suoi pro e i suoi contro: è indubbio che l'esercizio risulta meno noioso e più utile anche per gli aspetti tecnico-coordinativi , ma se non si ha un gruppo omogeneo in quanto a impegno negli esercizi si rischia di svolgere una preparazione atletica soddisfacente solo per quelli che eseguono ( correttamente ) gli esercizi al massimo delle proprie possibilità. Devo ancora decidere quale di queste due vie seguirò : probabilmente inizierò con una preparazione con la palla e , in caso di scarso impegno , passerò ad esercitazioni "a secco" , in modo da favorire anche l'inculcamento di una certa "cultura del lavoro" negli allenamenti ( che a mio parere è proprio uno degli aspetti più difficili da affrontare in una categoria provinciale , dove l'aspetto competitivo è meno accentuato che nei regionali).

2) il libro di Vatta La tecnica del calcio e le capacità coordinative , perché era l'unico che citasse esplicitamente le capacità coordinative nel titolo e che non fosse esplicitamente dedicato alla scuola calcio.

Ero infatti alla ricerca di esercizi per l'affinamento delle capacità coordinative dai giovanissimi in su : il libro , per quanto un po' datato , risponde alle mie esigenze e , seppure alcuni esercizi siano a mio parere un po' superati , ne ho tratto spunti interessanti.

Di sicuro la reputazione di pioniere e di figura storica del movimento calcistico giovanile italiano Vatta se la merita tutta , e per la competenza tecnica ( gli stessi esercizi che oggi possono sembrare datati , ai tempi della stesura del libro e delle riprese della videocassetta erano certamente all'avanguardia ) e per la statura morale ed umana del personaggio.

A proposito di questo secondo aspetto , riporto per intero un'intervista concessa qualche anno fa da Vatta al quotidiano "Il Giornale" ( in grassetto le frasi che mi sento di sottoscrivere in pieno ):

«Hanno scritto che al Torino ho reso 350 miliardi di lire. Ma non cambierei mai la mia carriera con quella di un allenatore di prima squadra».
Sergio Vatta, 68 anni. Il mago Vatta. Quattro scudetti, sei coppe Italia, quattro tornei di Viareggio con la Primavera del Torino; uno scudetto giovanissimi e uno Primavera come responsabile dei parigrado della Lazio, poi direttore tecnico delle nazionali giovanili e allenatore dell’Italia femminile portata alla fase finale dei mondiali. Ha visto nascere e crescere (e cresciuto) campioni e signori nessuno, ma come una levatrice di altri tempi non ha fatto differenze né sconti.
La prima missione?
«Nel ’75. Allenavo l’Ivrea, ma un giorno alla settimana lavoravo per il Torino. Giacinto Ellena, allora responsabile del settore giovanile granata, mi disse: “Si va a Lione per vedere un francese con il cognome italiano”»
E vide?
«Facile: Michel Platini. Mezzala del Nancy, quella sera fece gol e prese una traversa. “Può giocare in qualsiasi squadra al mondo” scrissi nella mia relazione. Si poteva opzionare con cento milioni, ma Radice, tecnico del Toro, disse: “Non dimentichiamo che gioca in Francia, un campionato minore”»...
Se ne sono sentite di migliori come profezie?
«Sì, ma dopo quel viaggio fui assunto dal Torino».
Scannerizzi 24 anni di lavoro in granata: il top undici?
«Mi manca un portiere, poi: Francini, Cravero, Benedetti, Mandorlini, Fuser, Dino Baggio, Venturin, Sclosa, Lentini, Vieri».
Cominciamo dall’ultimo.
«Me lo segnalò Serino Rampanti, ex ala del Toro, amico di Bob Vieri, il padre di Christian. Bobo giocava nel Prato e per convincere il presidente toscano, tifoso granata, a vendercelo comprammo anche il figlio Paolo, portiere ad Ancona».
Com’era Vieri?
«“Mi diceva: sono il più scarso di tutti, vado a casa”. Io gli rispondevo: è vero, sei scarso, ma fai sempre gol. Aveva una feroce voglia di riuscire, alla fine di ogni seduta si fermava un’ora più degli altri a crossare. Non avrei mai pensato potesse diventare così forte».
Altro fenomeno: Lentini.
«Lo vidi in una partita degli allievi a Mathi Canavese e ne fui impressionato. In pochi hanno fatto la differenza come lui nelle giovanili, la maglia numero sette finiva sempre stracciata. E una volta fece infuriare Pagliuca...».
Racconti...
«Fece quattro gol alla Samp. Nell’ultimo scartò mezza squadra, poi si fermò sulla linea di porta, aspettò il ritorno del portiere e segnò. Eravamo al Fila, Pagliuca lo inseguì per tutto il campo...».
Il provino più strano?
«Al Filadelfia si presenta un ragazzino e mi dice: “Arrivo da Bagnara Calabra, abito da mia sorella e voglio giocare nel Torino”. “Sei troppo piccolo per noi”, gli dissi, così lo mandai al Victoria Ivest, una nostra succursale. Mi richiamarono: questo piccoletto è un fenomeno.... Era Benny Carbone».
La sconfitta indimenticabile?
«Tardelli. Dopo averlo visto a Como, andammo da Pianelli che ci accolse sconsolato: “A l’a pialu l’Avucat” disse. L’aveva già preso l’Avvocato. Ma la Juve mi chiese persino un parere prima di un acquisto importante...».
Quando?
«Boniperti stava comprando Del Piero e mi telefonò per avere il mio consenso. Ovviamente gli dissi di prenderlo. Volle regalarmi una spilla da giacca della Juve, ma la rifiutai...».
Capitolo osservatori: scelga i più affidabili?
«Un certo Mollicciara, da Massa Carrara. “Ho quattro giocatori da serie A”, mi disse al telefono. Non ci volevo credere, così andai a vedere. Noi prendemmo Bertoneri e Francini. Ma il Milan Evani e Battistini. Era tutto vero».
Altri specializzati?
«Sola. Da Padova. Ci segnalò Pancaro, a Treviso con la Calabria per il torneo delle Regioni. Ci costò 20 milioni, dieci all’Acri, la sua squadra, altrettanti al padre. E fu sempre Sola a mettermi sulle piste di Dino Baggio».
A proposito, che tipo era il Baggio meno famoso?
«Faceva il centravanti, lo portai indietro. “Lei rovina mio figlio”, mi urlava la madre. E lui la cacciava via, “non ti voglio più vedere vicino agli spogliatoi”».
Premio occhio di lince?
«A Volfango Patarca, allenatore dei giovanissimi della Lazio. Scriveva in un italiano zoppicante, ma conservo ancora le relazioni su Nesta e Di Vaio, all’epoca undicenni».
Leggiamole...
«Nesta: (testuale dalla scheda): “Dotato di tecnica eccezzionale salta l’uomo con facilità incredibile per la sua età è eccezzionale sa fare di tutto. Centrocampista con mezzi tecnici e fisici di gran talento se continua a migliorare e non distrarsi ha un futuro come calciatore».
E Di Vaio?
«Rileggo la scheda: “Ha tecnica eccezzionale, furbizia scatto e rapidità di esecuzione incredibile. Chiedo a tutti di non far perdere un simile talento”».
È stato accontentato, Patarca. Ma la sua gioia maggiore qual è?
«L’esordio di Mandorlini in serie A. Andrea era il primo giocatore allenato da me ad arrivare così in alto».
Allenatori: il più e il meno collaborativo?
«Fascetti ci seguiva sempre. E quando gli piacevamo in modo particolare, il lunedì successivo ci invitava tutti a cena».
All’opposto?
«Radice. Spesso il nostro campo era preparato meglio di quello della prima squadra. E allora lo prendeva lui. E ci costringeva ad allenarci nel cortile del Filadelfia, sulla ghiaia».
Il giocatore più vicino ai giovani?
«Junior. Conosceva tutti i ragazzi e finito il suo allenamento si fermava a fare le partitelle con loro».
Il miglior talento visto crescere?
«Buffon. Il più forte degli ultimi 30 anni. Lui e Totti li ho avuti nell’under 15. Poi Pirlo: anche lui passò dall’under 15, “è il giocatore del 2000” dissi: tecnico e capace di resistere al gioco fisico dell’avversario».
Ha allenato la nazionale femminile: la donna più forte in quale categoria maschile potrebbe giocare?
«Negli allievi regionali. E farebbe molta fatica».
Ha detto: gli istruttori si stanno trasformando in allenatori. Che cosa significa?
«Che puntano troppo sulla prestazione. Robotizzano i ragazzi e dimenticano che i giovani non sono adulti in miniatura. Ogni stagione il calcio italiano perde circa 50mila praticanti: 14 anni è il passaggio critico».
Perché
«Scuola superiore, altri interessi, trasformazione fisica e, soprattutto, scoperta di non essere un campione. L’istruttore di calcio dev’essere bravo a farsi preferire a tutto questo. Non per niente in Francia li chiamano educateur».
Parliamo dei procuratori intorno ai giovanissimi?
«Sono una rovina. Ma se un ragazzino ha bisogno del procuratore a 14 anni diventerà un cittadino di serie B».